(Milano 1907-1998)
"Ho cercato di comunicare quello che gli altri non vedono, ad esempio
un arcobaleno di profilo."
Bruno Munari
Bruno Munari aveva gli occhi chiari e cristallini, incorniciati da una sottile montatura dorata da distinto signore, che dava ancor più risalto al guizzare ragazzino, allo scintillare imprevisto, alla mutevole curiosità, alla precisa attenzione con cui fino all'ultimo egli ha usato lo sguardo, strumento primario e straordinario del suo lundo operare. Nell'impossibilità di dare una definizione univoca del personaggio e delle sue opere, impossibilità da tanti critici riconosciuta e da lui stesso ironicamente giocata come carta vincente, si può infatti arrivare a stabilire almeno un punto fermo: Bruno Munari è stato un grande maestro del vedere. Maestro, non solo per l'altissima qualità (maestria) del suo fare, ma proprio, in senso letterale, per il suo aver voluto- in maniera generosamente semplice e programmaticamente complessa- insegnare a scoprire le infinite e dimensioni della visualità.
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macchina
inutile,1947-filo d'acciaio-
pubblicato su Munari’50
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Nato a Milano, Bruno Munari passò l'infanzia e l'adolescenza a Badia Polesine. Nel 1925 tornò a Milano per lavorare con lo zio ingegnere. In questi anni appena ventenne, viene a contatto con i Futuristi della seconda ondata - il cosiddetto Secondo Futurismo -, con i quali espone in numerose collettive alla storica Galleria Pesaro (1927, 1929, 1931, 1932), oltre che nelle più prestigiose mostre nazionali (Biennale di Venezia del 1930, 1934, 1936 Quadriennale di Roma del 1935; Triennale di Milano del 1936 e del 1940) ed internazionali. Munari non ama parlare del Futurismo e della sua esperienza all'interno del movimento. È comprensibile, e per più di un motivo. La ragione concettualmente più ampia riguarda il modo di considerare il proprio lavoro da parte dell'artista stesso, e di come, in conseguenza, vuole che questo venga considerato: poiché infatti una certa pigrizia mentale tende a giustificare le esperienze artistiche secondo la loro possibilità di storicizzazione, e che questa storicizzazione risulta tanto più valida quanto più indietro nel tempo si colloca, ne viene che l'attività di un artista che magari – come Munari – ha lavorato per molti decenni, venga continuamente riportata e parametrata a quelle esperienze più lontane nel tempo, che godono da un lato del comodo fattore della “storia”, ma che impediscono quasi sempre una lettura attuale delle stesse esperienze, e le etichettano sotto tendenze talvolta improprie.
Tre anni dopo si associò con Riccardo Ricas Castagnedi, con cui lavorò come grafico fino al 1938. Nel 1930 realizzò quello che può essere considerato uno dei primi mobile della storia dell'arte, noto con il nome di macchina aerea e che Munari ripropose nel 1972 in un multiplo a tiratura 10 esemplari per le edizioni Danese di Milano.
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Macchina aerea edizione danese 1971
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Nel 1933 proseguì la ricerca di opere d'arte in movimento con le macchine inutili, oggetti appesi, dove tutti gli elementi sono in rapporto armonico tra loro, per misure, forme, pesi. Dal 1939 al 1945 lavorò come grafico presso l'editore Mondadori, e come art director della rivista Tempo, cominciando contemporaneamente a scrivere libri per l'infanzia, inizialmente pensati per il figlio Alberto. Nel 1948, insieme a Gillo Dorfles, Gianni Monnet, Galliano Mazzon e Atanasio Soldati, fondò il Movimento Arte Concreta. Negli anni cinquanta le sue ricerche visive lo portano a creare i negativi-positivi, quadri astratti con i quali l'autore lascia libero lo spettatore di scegliere la forma in primo piano da quella di sfondo.
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Libro illeggibile MN1
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Nel 1951 presenta le macchine aritmiche in cui il movimento ripetitivo della macchina viene spezzato dalla casualità mediante interventi umoristici. Sempre degli anni 50 sono i libri illeggibili in cui il racconto è puramente visivo. Nel 1954 utilizzando le lenti Polaroid costruisce oggetti d'arte cinetica noti come Polariscopi grazie ai quali è possibile utilizzare il fenomeno della scomposizione della luce a fini estetici.
Nel 1955 crea il museo immaginario delle isole Eolie dove nascono le ricostruzioni teoriche di oggetti immaginari, composizioni astratte al limite tra antropologia, humour e fantasia. Nel 1958 modellando i rebbi delle forchette crea un linguaggio di segni per mezzo di forchette parlanti e,nello stesso anno, presenta le sculture da viaggio che sono una rivisitazione rivoluzionaria del concetto di scultura, non più monumentale ma da viaggio, a disposizione dei nuovi nomadi del mondo globalizzato di oggi. Nel 1959 crea i fossili del 2000 che con vena umoristica fanno riflettere sull'obsolescenza della tecnlogia moderna.
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Le forchette di Munari
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La sua fama comincia a diffondersi anche all'estero: negli anni Cinquanta espone in Europa e negli USA, e inizia i viaggi in Giappone, che diverranno frequenti a riprova delle affinità che lo legano a quella cultura, imperniata su una filosofia che cerca il giusto equilibrio tra rispetto dei valori umani e produzione. Nel 1962 organizza presso il negozio 0livetti di Milano una celebre mostra di Arte Programmata. Nel 1967 è invitato dalla Harvard University a tenere un corso di comunicazione visiva presso il Carpenter Center for the Visual Arts di Cambridge, nel Massachusetts, e da quelle lezioni nasce il libro "Design e Comunicazione visiva", che si affiancherà a una serie di volumi in cui l'autore espone le proprie idee sul design. Pur continuando l'attività artistica, quella di grafico editoriale per Einaudi e quella di designer; si dedica con sempre maggiore attenzione al mondo dell'infanzia. Pensando ad oggetti che lascino un particolare spazio alla fantasia infantile progetta l'Abitacolo per la Robots, una struttura abitabile trasformabile (Compasso d'Oro 1979), dalla quale deriva una lunga schiera di oggetti d'arredo dalle caratteristiche simili oltre a numerosi Giochi, libri e collane di libri per insegnanti e per bambini anche in età prescolare (i celebri Prelibri della Danese).
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Due dei dieci libri pubblicato da Munari,nel 1945 |
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Polariscopio |
Munari sapeva vedere e far vedere - cose o situazioni - e ciò gli consentiva di modificarne o reinventarne la funzione d'uso, fosse essa di natura puramente estetica, principalmente comunicativa o meramente pratica. Per lui non esisteva soluzione di continuità tra forma, comunicazione e funzione poiché, essendo ogni azione finalizzata alla medesima ricerca, ogni aspetto si poneva come complementare e strettamente interconnesso all'altro. Perciò un oggetto d'arredo, anche un umile posacenere, doveva essere in grado di migliorare la qualità della vita tanto dal punto di vista funzionale quanto da quello esteriore (raccogliere bene la cenere, essere piacevole a vedersi sul tavolo, comunicare un senso di modernità, ordine e pulizia).E, contemporaneamente, una scultura doveva avere una forte pregnanza simbolica - tale da poter essere esposta nel museo o monumentalrnente installata nella città - ma anche un'agilità clandestina, per consentire a chiunque di possederla, mettersela in tasca e portarla con sé, nella speranza di far uscire dall'anonimato persino gli ambienti più modesti. Perciò le forchette potevano parlare il linguaggio universale dei gesti senza divenire sfrontate, e l'aria diventava una macchina da far funzionare gettando ritagli di carta da una torre.
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Sculture da viaggio,1965 |
Con l'animo giocoso ed entusiasta del futurista, l'attenzione analitica dell'artista concettuale, la metodica del progettista, la pulizia ed il rigore esecutivo del designer, la generosità dell'educatore, la curiosità dello scienziato, Munari ha in seguito intrecciato il suo cammino a quello di numerosi movimenti di ricerca.
In Munari, grande vecchio e un po' Peter Pan,la giovinezza e la fanciullezza (che a più di ottant'anni si divertiva, stupito,a guardare le ventose di una mosca arrampicata sulla finestra) sono state una fiammella mai spenta. Da un lato, quell'essere serenamente e saldamente un po' fanciullo doveva far parte di lui fin dall'inizio. Dall'altro, l'infanzia è stata anche una scoperta: un'esplorazione compiuta nell'età adulta (intorno agli anni Cinquanta)forse legata all'esperienza della paternità, o al desiderio di non porre mai limiti convenzionali al suo rapporto con la collettività. Di fatto, la sua passione per il mondo dell'infanzia - nutrita di curiosità, di delicatezza, di rispetto, di numerose iniziative, di metodi d'approccio che hanno rovesciato le consuetudini - traccia una storia dentro la sua storia.
Con i giochi e libri per bambini - il Gatto Meo in gommapiuma, i Prelibri di Danese, i Libri illeggibili di fogli variopinti e senza testo, i libri con i buchi, le pagine trasparenti, tattili, componibili, le fiabe riscritte visivamente, i libri oggetto, l'Alfabetiere, il letto Abitacolo e le molte altre invenzioni che hanno letteralmente fatto scuola - Munari è entrato nelle camerette e nelle aule di molti paesi del mondo. Partendo dalla consapevolezza che la sperimentazione diretta facilita la comprensione e la trasmissione delle conoscenze, l'artista ha messo a disposizione la propria capacità di scegliere e fornire materiali e suggestioni visive, perché il bambino potesse egli stesso agire, liberando la propria curiosità in un gioco solo minimamente guidato, suggerito soprattutto attraverso le immagini e le dimostrazioni pratiche. Con la sua straordinaria capacità di guardare, ha trovato la strada per prestare gli occhi, per trovare gli occhi degli altri e per portarli ovunque egli volesse. Persino a vedere l'assenza, che è una delle imprese più difficili, nell'arte.
Munari cerca e trova!
E.M., GRUPPO T
“Non ero il solo a muovermi in quella direzione. Nel 1959 nasce a Milano il Gruppo T, composto da cinque studenti dell’Accademia di Brera (Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gabriele De Vecchi, Gianni Colombo, Grazia Varisco), di una decina d’anni più giovani di me, che affrontavano le tematiche dell’Arte programmata.”
Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011, 1° ediz., pg. 43
Il Gruppo T è un laboratorio artistico che nasce nel 1959 a Milano, rimanendo attivo fino alla fine degli anni Settanta circa, che si sviluppa attraverso un precoce e fecondo avvicinamento alle poetiche dell’Informale e del Polimaterialismo. Il Gruppo T è composto da Boriani Davide, De Vecchi Gabriele, Anceschi Giovanni, Colombo Gianni e Varisco Grazia.
Il gruppo T si propone in un periodo significativo per l’arte internazionale, presentandosi in concomitanza alla nascita di gruppi con intenti artistici analoghi, come ad esempio il Gruppo Zero di Dusseldorf, Gruppo N, Grav o Groupe de Recherche d’art visual e Equipe 75 con i quali condivide l’aspetto di rottura verso le forma artistiche tradizionali e la ricerca di una nuova forma d’arte altamente innovativa e radicale. Il Gruppo T fu particolarmente critico e severo verso il concetto di espressività oggettiva, che connota e riassume l’atteggiamento conservatorista dell’arte tradizionale, che rinnega attraverso un’indagine della variabilità percettiva dell’oggetto nel fruitore. L’intento del gruppo, espresso attraverso una vasta sperimentazione, è di sdoganare l’arte proponendo un nuovo rapporto tra opera ed osservatore, che trascenda i limiti e le direttive imposte dalle tecniche tradizionali, per guidare, orientare e coinvolgere completamente il fruitore dell’opera verso un’esperienza soggettiva multisensoriale. La produzione artistica del gruppo fu quindi condotta attraverso la ricerca di nuove modalità espressive e tecniche di coinvolgimento dello spettatore. E’ possibile identificare due differenti percorsi della sperimentazione artistica: una fase iniziale, contrassegnata dall’ideazione di pioneristici lavori cinetici e programmati, ed una successiva fase, che ha inzio dal 1964 circa, attraverso la riproduzione di ambienti immersivi ed interattivi.
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Davide Boriani e Gabriele De Vecchi –
Camera distorta
abitabile,1970
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La caratteristica dei lavori del Gruppo T non è solo la trasposizione del lavoro dal piano dell'oggetto al piano dell'ambiente, ma è principalmente l'interazione: il rapporto di continuità che essi creano con l'osservatore, che può fisicamente vivere le opere proprio come degli ambienti della vita reale, e senza il quale l'opera di fatto non esiste. Sono l'intervento o l'ingresso del visitatore che danno una ragione al lavoro artistico, ed è in questo senso che ci troviamo di fronte ad uno spostamento consapevole e compiuto dell'osservatore all'interno dell'opera, come fattore determinante. Oltre a questo c'è un'intenzione di riproducibilità d ell'opera in senso ampio, che va oltre le possibilità offerte dalle tecnologie di ripresa e stampa, le quali offrono un'immagine o una testimonianza dell'opera. Gli ambienti del Gruppo T sono riproducibili nel senso che possono essere realizzati ex-novo: l'opera stessa può essere riprodotta e cioè rifatta. La novità vera negli ambienti del Gruppo T dunque non consistette nell'intervento su un spazio ambientale piuttosto che su un'opera in senso tradizionale: in Italia Lucio Fontana dai primi anni Cinquanta conduceva una sperimentazione sulle applicazioni ambientali dell'arte utilizzando il neon come per la IX Triennale di Milano (1951) o altri materiali. Gli artisti del Gruppo T riconoscono nei loro risultati la attuazione concreta dello spirito futurista di voler porre lo spettatore al centro dell'opera (Boriani) portandolo alle sue estreme conseguenze con opere che esistono solo in virtù della presenza o dell'intervento dello spettatore. Il gruppo di Anceschi, Boriani, Colombo, De Vecchi e Varisco, inoltre godette della vicinanza di Lucio Fontana che li incoraggiava verso la programmazione degli ambienti interattivi, intesi come una fase successiva dei concetti spaziali, e di quella di Bruno Munari, che fondò il movimento Arte Concreta nel 1948 e portò avanti una ricerca artistica fondata sulla flessibilità dell'opera e sull'intervento dello spettatore.
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Grazia Varisco –Schema luminoso
variabile,
1962,plexiglass,luce e motore
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La prima manifestazione del gruppo T “Miriorama 1” si è svolta presso la galleria Pater di Milano nel gennaio del 1960, a pochi mesi dalla costituzione del gruppo da parte di quattro artisti, smaniosi di cambiamenti e desiderosi di sperimentare nuove tecnologie, insofferenti delle convenzioni e dei riti e miti dell’arte. Il manifesto del gruppo T “Miriorama 1”, dell’ottobre del 1959, pone le basi teoriche per la realizzazione di opere “in divenire”,a quattro dimensioni", in cui la componente temporale possa essere percepita attraverso la variazione continua, imprevedibile ed irreversibile dell'immagine. E poiché la variazione si realizza attraverso il movimento che modifica nel tempo la struttura spaziale dell'opera, nasce l'esigenza di una componente casuale che rompa la ciclicità del movimento meccanico. Da qui la possibilità di far intervenire lo spettatore sull'opera in tempi e modi imprevisti anche agli stessi autori.
Nei quattro anni successivi si svolgono quattordici manifestazioni "Miriorama", l'ultima delle quali presso lo Studio F ad Ulm nel 1964.
Dopo questi primi anni di grande fermento il gruppo T progressivamente modifica il proprio assetto, a partire dal 1964 alle ricerche e alle mostre collettive si affiancano ricerche e mostre personali. Nel 1968 il gruppo T firma per l'ultima volta un lavoro collettivo, ma anche se Colombo e Varisco prendono ufficialmente le distanze dal gruppo, prosegue secondo modalità diverse la collaborazione fra gli artisti e non è mai stato formalmente proclamato lo scioglimento del gruppo. Assume quindi un significato particolare questa esposizione "Miriorama 15" con la quale Anceschi, Boriani e Devecchi intendono comunicare che la loro collaborazione resiste nel tempo e il gruppo T si ripresenta condividendo ancora idee, convinzioni ed esperienze.
Tra la fine degli anni '50 e gli anni '60 la storia artistica europea è contrassegnata dalla nascita di "gruppi" d'artisti che, pur nella loro breve vita e nelle fisiologiche differenze, coaguleranno attorno a leit motiv ricorrenti, spesso accompagnati dall'aspirazione ad un'"arte di tutti" e un'"arte per tutti".
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Giovanni Anceschi-
Struttura tricroma,1963
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Ciò che accomuna l'attività del Gruppo T agli altri gruppi italiani e internazionali è innanzitutto la ricerca di un procedimento artistico rigoroso ed analitico da contrapporre alle tendenze dominanti dell'epoca: dall'espressionismo astratto all'arte informale. Si cerca di ottenere un'oggettivizzazione della percezione estetica - in antitesi al soggettivismo imperante - e per raggiungerla ci si avvicina al mondo della scienza e della tecnica. E' il rapporto arte e scienza che si fa garante della "misurabilità" dell'esperienza estetica, passando attraverso il controllo dei meccanismi della percezione. L'attività artistica viene concepita più come sperimentazione scientifica che come attività di creazione individuale.
Questa sperimentazione porta alla ricerca di un linguaggio semplice e codificato. Si usano figure geometriche neutre (quadrati, cerchi, rettangoli, …), ordinate attraverso rapporti non arbitrari ma anonimi (relazioni algebriche, topologiche, fisiche, …), con lo scopo di ottenere una superficie, un oggetto o un ambiente "attivo" in grado di stabilire immediatamente una connessione visiva, tattile, polisensoriale con lo spettatore. Ed è a questo punto che interviene la componente casuale ed imprevedibile determinata dall'azione dello spettatore.
L'artista prende distanza dall'opera, nega la propria "soggettività autorevole ed ispirata", per programmare un dispositivo in grado di catturare lo spettatore e intraprendere con lui un processo interattivo. L'opera non è più un oggetto definito, chiuso, compiuto, ma un processo aperto, dinamico, avviato da un operatore estetico, che ne ha predeterminato le condizioni di partenza e quindi le possibilità di esistenza, e che per realizzarsi necessita della presenza attiva di un fruitore.
Nel nuovo processo artistico è quindi insito il concetto di interattività. E' solo la presenza del fruitore che permette la piena esistenza dell'opera, è la sua azione, visiva motoria o cognitiva, che rende attivo il programma iniziale attualizzando alcune delle sue possibili configurazioni.
E' necessaria quindi l'azione reciproca dell'operatore iniziale, dell'opera-dispositivo e del fruitore per dar vita al processo artistico.
E in un agire che non produce più oggetti ma attiva processi è implicito il concetto di movimento.
Non è più solo lo spazio ad essere indagato, ma il tempo acquista un significato fondamentale e con esso l'opera assume una dimensione dinamica.
Dichiarazione fondativa del gruppo T
Dichiarazione stilata nell'ottobre del 1959 e utilizzata per la prima mostra 'Miriorama 1' in cui erano presenti oltre alle opere del Gruppo un pezzo di: Bruno Munari, Lucio Fontana, Piero Manzoni, Enrico Baj, e Jan Tinguely.
Approfindimento
Ogni aspetto della realtà, colore, forma, luce, spazi geometrici e tempo astronomico, è l’aspetto diverso del darsi dello SPAZIO_TEMPO o meglio: modi diversi di percepire il relazionarsi tra SPAZIO e TEMPO.
Consideriamo quindi la realtà come continuo divenire di fenomeni che noi percepiamo nella variazione.
Da quando una realtà intesa in questi termini ha preso il posto, nella coscienza dell’uomo ( o solamente nella sua intuizione) di una realtà fissa e immutabile, noi ravvisiamo nelle arti una tendenza ad esprimere la realtà nei suoi termini di divenire.
Quindi considerando l’opera come una realtà fatta con gli stessi elementi che costituiscono quella realtà che ci circonda è necessario che l’opera stessa sia in continua variazione.
Con questo noi non rifiutiamo la validità di mezzi quale colore, forma , luce, ecc. ma li ridimensioniamo immettendoli nell’opera nella situazione vera in cui li riconosciamo nella realtà, cioè in continua variazione che è l’effetto del loro relazionarsi reciproco.
Link di riferimento: