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capodanno a new york 2012 foto cecilia polidori

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"Si continua ad abbandonare qualcosa. Si continua a dire addio. Il problema, forse, è cercare d'inventare nuove perfezioni, pensare che ogni momento è una perfezione che comunque si può perfezionare..."

Ettore SOTTSASS, Scritto di notte, maggio 2010

"Si procede per tentativi, valutando empiricamente le diverse soluzioni possibili..."

Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, marzo 2011

la foto di fondo è un autoritratto dell'Autrice all'esterno di The Cloud Gate, AT&T Plaza, Millenium Park, S Michigan Ave, Chicago, Illinois, comunemente chiamato The Bean, il Fagiolo,agosto 2011

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martedì 10 gennaio 2012

Gruppo T - Lea Vergine

Gruppo T
"Nel 1959 nasce a Milano il Gruppo T, composto da cinque studenti dell'Accademia di Brera (Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gabriele De Vecchi, Gianni Colombo, Grazia Varisco); di una decina d'anni più giovani di me, che affrontano le tematiche dell'Arte programmata."
Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011, 1° ediz., cap. V, pag. 43
Giovanni Anceschi, Struttura cilindrica virtuale
Grazia Varisco, Variabla Kinetic Schema luminoso variabile

Il Gruppo T era un gruppo di artisti italiani sperimentale formato a Milano nel 1959 e attivo durante i primi anni '60. Fu fondato da Boriani Davide e De Vecchi Gabriele a cui si aggiunsero Anceschi Giovanni, Colombo Gianni e Varisco Grazia. Il Gruppo T fu tra i più importanti gruppi di Arte cinetica e programmata in Italia, il quale introdusse una forma di arte innovativa, attraverso la realizzazione di esperimenti percettivi e di ambienti interattivi finalizzati a sollecitare e ricreare reazioni diverse e inaspettate nello spettatore.  Propone una rottura nei confronti delle forme artistiche tradizionali e la ricerca di una nuova forma d’arte altamente innovativa e radicale. L’intento del gruppo è di svincolare l’arte proponendo un nuovo rapporto tra opera ed osservatore, orientando e coinvolgendo completamente il fruitore dell’opera attraverso un’esperienza soggettiva multisensoriale.
Tavola elettromagnetica n° 8" di Davide Boriani
Il nucleo delle loro ricerche è un approccio alla realtà come identità spazio-temporale, come continuo divenire di fenomeni, tanto che la T che contraddistingue il gruppo sta per Tempo. Le prime esperienze del Gruppo T sono riconducibili alla prima mostra Miriorama, a cui seguirono 12 edizioni fino al 1962. Il particolare nome, suggerito dal pittore Enrico Bordoni, è un termine greco che significa “mille immagini” e che indicava una forma di intrattenimento in cui singolari meccanismi alteravano le immagini di elementi in movimento. Nell’esposizione gli artisti presentano ed esprimono nelle proprie opere una forte adesione al reale, attraverso la trasformazione e la variazione dell’opera stessa da parte del fruitore. Alla mostra sono state presentate opere realizzate con materie disparate come metalli, materie plastiche, elettricità, vapori d’anidride carbonica, fonti di calore, e aria compressa sono state progettate collettivamente e firmate a nome Gruppo T. Nel 1962, oltre all’organizzazione e alla partecipazione alla mostra Miriorama, il Gruppo T partecipò insieme ad altri gruppi italiani e stranieri alla mostra “Arte programmata”
Il gruppo T produce opere aperte, in cui il significato artistico della creazione può essere compreso dal fruitore soltanto attraverso un’esperienza di completa partecipazione, con l’attivazione di dispositivi ed artefatti artistici, manipolabili tramite l’intervento manuale o meccanico.
Ambiente Spazio Elastico by Gruppo T, 1967
Grande oggetto pneumatico. Ambiente a volume variabile
Durante la metà degli anni Sessanta, il gruppo risi occupa della realizzazione di mobili e provvisori, strettamente collegati alle reazioni del fruitore. Al concetto di interattività si aggiunge il concetto di abitabilità, espresso attraverso il tentativo di ricreare un nuovo legame e rapporto tra arte ed ambiente. Attraverso la realizzazione di ambienti immersivi e interattivi, finalizzati a modificare le aspettative del fruitore, alterandone la percezione con trucchi illusori ed ingannevoli percezioni, il gruppo vuole rendere l’opera totalmente imprevedibile e destare una sensazione di straniamento e di spaesamento nel fruitore. Gli ambienti immersivi ed interattivi furono ideati attraverso la riproduzione di uno spazio attivo instabile, mobile e provvisorio,legato alla completa esperienza polisensoriale dell’osservatore.
Varisco, Grande Sferisterio, 1960
Durante questa fase, i componenti del gruppo idearono opere utilizzando tecniche industriali e dell’industrial designer altamente riformatrici, che furono applicate al lavoro artistico,per ricreare e rifondare il rapporto tra arte e ambiente, attraverso una percezione prettamente soggettiva dello spettatore. La ricerca artistica del gruppo fu condotta tramite il riferimento inevitabile ed ineliminabile alle variabili di tempo e spazio. Infatti il fruitore può modificare nel tempo la struttura spaziale dell’opera. L'intervento attivo dello spettatore nell'opera era determinante: ne era prova l'etichetta provocatoria "Si prega di toccare" con cui gli artisti del Gruppo T accompagnavano l'esposizione delle loro opere. Il gruppo promuove, attraverso le proprie opere, un nuovo tipo di rapporto tra autore e spettatore, una nuova modalità di interazione tra l’opera ed il fruitore, in cui sia l’osservatore a definire il contenuto della creazione artistica ed il relativo significato, attraverso un intervento attivo e diretto, dell’artefatto proposto. 

Link di riferimento:

Lea Vergine
Nel 1965 ricevo un biglietto da Napoli, da una certa Lea Vergine,critica d'arte: mi dice che stava per dare il via a una rivista di architettura, arte e design dal titolo <<Linea Struttura>>"
Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011, 1° ediz., cap. V, pag. 47
Lea VERGINE, IL CORPO COME LINGUAGGIO,editore Prearo, 1974
Lea Vergine è scrittrice, critico d’arte e collaboratrice dei più importanti quotidiani italiani, tra cui Il Manifesto Il Corriere della Sera. Quella di critica d’arte è però una definizione riduttiva perché, per l'importanza dei suoi studi e delle mostre da lei proposte, le si attaglia meglio la didascalia di storica e teorica dell'arte contemporanea. I suoi saggi, le sue scoperte, le sue sollecitazioni sui nuovi linguaggi e sul destino dell’espressione artistica hanno da sempre suscitato il dibattito culturale. E’ stata uno dei primi critici ad occuparsi della Body Art, pubblicando nel 1974 Il corpo come linguaggio, il libro che ha creato uno scandalo simile a quello delle opere che analizzava. Il testo di Lea Vergine, sebbene apparso quando le ricerche bodiste erano già un fenomeno ampiamente conosciuto in ambito internazionale, ebbe un'importanza e una funzione divulgativa fondamentale nel nostro paese, in quanto primo documento critico di ricerche in atto ma ancora poco conosciute ai non addetti ai lavori e osteggiate dalla critica più conservatrice. Testimone diretto della nascita e della crescita di uno dei più controversi movimenti artistici, il volume di Lea Vergine raccoglieva una serie di testi degli artisti stessi, ai quali l’autrice aveva chiesto di contribuire con una dichiarazione relativa al lavoro illustrato. Corredato di un’ampia documentazione di fotografie originali e fotogrammi di film, videotape, happening, azioni e performance, il volume analizzava l’evoluzione di questo fenomeno attraverso le opere di sessanta artisti. Il corpo come linguaggio è un testo ancora attualissimo tanto da essere ripubblicato nel 2000 da Skira.
Piero Manzoni, Opera d'arte vivente, 1961,
in una mostra a cura di Lea Vergine
Lea Vergine è autrice anche di altre storiche pubblicazioni sui problemi dell’arte contemporanea. Tra queste: Attraverso l’arte. Pratica politica (Arcana 1976), L’arte ritrovata (Rizzoli 1982), L’arte in gioco(Garzanti 1988), Gli ultimi eccentrici (Rizzoli 1990), Arte in trincea(Skira 1996), Ininterrotti transiti (Rizzoli 2001),e Art on Cutting Edge. A Guide to Contemporary MovementsParole sull’arte (il Saggiatore 2008). 
Organizzatrice di convegni e curatrice di mostre, Lea Vergine ha ideato esposizioni collettive presentate in Italia e all’estero come “Quando i rifiuti diventano arte. Trash rubbish mongo” dove affronta in modo sintetico ma comunque completo il vasto panorama di artisti che lavora o ha lavorato sul concetto di recupero.
Lea VERGINE, Trash, quando i rifiuti diventano arte, edit. Electa, 1997
I rifiuti dagli artisti sono stati fotografati, trattati, corretti, enfatizzati ... ma in ogni caso valorizzati, recuperati per farli sopravvivere alla dissoluzione a cui sarebbero destinati, per permettergli di "lasciare una traccia un indizio per chi resta". 
Gino de Dominicis, Origine e strane tradizioni, 
esposto nella mostra D'ombra
Un’altra importante mostra è “D’ombra”. La mostra propone le opere dove l'ombra risulta il movente e significante primo della rappresentazione, cioe' dove l'ombra resta intimamente partecipe della struttura psicologica umana alludendo all'altro lato della personalita' e a quanto di oscuro ed enigmatico si cela in essa. 
Tra le mostre ricordiamo anche: “L’altra metà dell’Avanguardia”, “L’ultima Avanguardia”, “Geometrie dionisiache”. Nel 1996 ha organizzato alla Galleria d’Arte Moderna di Torino il convegno La scena del rischio.

Link di riferimento:

Olivetti No Stop!

Olivetti No Stop!










Il giorno 08 gennaio 2012 22:54, <vanessa.furfaro.> ha scritto:
Buona sera Professoressa.
Sono Vanessa, la studentessa che ha pubblicato il post sull'Olivetti….
…….La ringrazio

P.S. Le volevo dire che in queste vacanze l' Olivetti imperterrita mi ha seguita. In quanto, facendo tappa ad Aosta, casualmente entrando in un negozio di abbigliamento solo in un secondo tempo mi sono accorta che per  terra c'era una macchina da scrivere e una calcolatrice Olivetti. Devo dire che mi sono "emozionata" perché sapevo che cosa stavo guardando[…] 

La macchina da scrivere è una MP1. Per quanto riguarda la calcolatrice, a primo vista sembra anch’essa appartenere al marchio Olivetti, vista la somiglianza del design con le altre calcolatrici Olivetti, ma  facendo una ricerca più approfondita appartiene, come si può leggere dalla scritta, all’Everest. Dalla fine degli anni sessanta al 1992 l'Olivetti ha avuto un importante polo produttivo a Crema. L'Olivetti a Crema sbarcò alla fine degli anni sessanta acquisendo l'area industriale di via Mulini, dove si trovava la Serio-Everest, un'azienda fondata nel 1929 da sette fuoriusciti dalla Said di Milano, Società anonima italiana dattilografia. La Serio-Everest è stata la prima azienda al mondo a produrre una macchina da scrivere con tastiera a 4 file di tasti invece che 3. Arrivò a contare 1.600 addetti e fu inglobata dall'Olivetti a partire dal 1967.

 […] Ma la cosa bella è che "casualmente" mi sono ritrovata ad Ivrea, così ho fatto tappa agli uffici Olivetti, fuori in bella vista c'era un grande cartellone-lifetime dell'Olivetti. Ovviamente ho le prove su digitale! La dovevo rendere assolutamente partecipe!

 Maam Ivrea sta per Museo a cielo aperto dell’ Architettura Moderna di Ivrea. Il Museo, inaugurato nel 2001, si sviluppa lungo un percorso di circa due chilometri che interessa via Jervis e le aree contigue su cui sorgono gli edifici più rappresentativi della cultura olivettiana. Lungo i percorsi pedonali pubblici, che collegano gli edifici, sono collocate sette stazioni tematiche informative, in una successione tale da costituire un possibile itinerario di visita e caratterizzate da una forte integrazione con il tessuto urbano. I temi illustrati dalle stazioni riguardano le vicende inerenti l'impegno della Olivetti nel campo dell'architettura, dell'urbanistica, del disegno industriale e della grafica pubblicitaria e i contesti culturali in cui queste vicende si collocano.
Palazzo Uffici uno, Ivrea, 1959
 
Una parte del percorso pedonale pubblico
Il prodotto e l'immagine
...End!?

E.M. Bruno Munari

(Milano 1907-1998)
"Ho cercato di comunicare quello che gli altri non vedono, ad esempio un arcobaleno di profilo." 
                                                     Bruno Munari

Bruno Munari aveva gli occhi chiari e cristallini, incorniciati da una sottile montatura dorata da distinto signore, che dava ancor più risalto al guizzare ragazzino, allo scintillare imprevisto, alla mutevole curiosità, alla precisa attenzione con cui fino all'ultimo egli ha usato lo sguardo, strumento primario e straordinario del suo lundo operare. Nell'impossibilità di dare una definizione univoca del personaggio e delle sue opere, impossibilità da tanti critici riconosciuta e da lui stesso ironicamente giocata come carta vincente, si può infatti arrivare a stabilire almeno un punto fermo: Bruno Munari è stato un grande maestro del vedere. Maestro, non solo per l'altissima qualità (maestria) del suo fare, ma proprio, in senso letterale, per il suo aver voluto- in maniera generosamente semplice e programmaticamente complessa- insegnare a scoprire le infinite e dimensioni della visualità.  


macchina inutile,1947-filo d'acciaio-
pubblicato su Munari’50

Nato a Milano, Bruno Munari passò l'infanzia e l'adolescenza a Badia Polesine. Nel 1925 tornò a Milano per lavorare con lo zio ingegnere. In questi anni appena ventenne, viene a contatto con i Futuristi della seconda ondata - il cosiddetto Secondo Futurismo -, con i quali espone in numerose collettive alla storica Galleria Pesaro (1927, 1929, 1931, 1932), oltre che nelle più prestigiose mostre nazionali (Biennale di Venezia del 1930, 1934, 1936 Quadriennale di Roma del 1935; Triennale di Milano del 1936 e del 1940) ed internazionali. Munari non ama parlare del Futurismo e della sua esperienza all'interno del movimento. È comprensibile, e per più di un motivo. La ragione concettualmente più ampia riguarda il modo di considerare il proprio lavoro da parte dell'artista stesso, e di come, in conseguenza, vuole che questo venga considerato: poiché infatti una certa pigrizia mentale tende a giustificare le esperienze artistiche secondo la loro possibilità di storicizzazione, e che questa storicizzazione risulta tanto più valida quanto più indietro nel tempo si colloca, ne viene che l'attività di un artista che magari – come Munari – ha lavorato per molti decenni, venga continuamente riportata e parametrata a quelle esperienze più lontane nel tempo, che godono da un lato del comodo fattore della “storia”, ma che impediscono quasi sempre una lettura attuale delle stesse esperienze, e le etichettano sotto tendenze talvolta improprie. 

Tre anni dopo si associò con Riccardo Ricas Castagnedi, con cui lavorò come grafico fino al 1938. Nel 1930 realizzò quello che può essere considerato uno dei primi mobile della storia dell'arte, noto con il nome di macchina aerea e che Munari ripropose nel 1972 in un multiplo a tiratura 10 esemplari per le edizioni Danese di Milano. 
Macchina aerea edizione danese 1971

Nel 1933 proseguì la ricerca di opere d'arte in movimento con le macchine inutili, oggetti appesi, dove tutti gli elementi sono in rapporto armonico tra loro, per misure, forme, pesi. Dal 1939 al 1945 lavorò come grafico presso l'editore Mondadori, e come art director della rivista Tempo, cominciando contemporaneamente a scrivere libri per l'infanzia, inizialmente pensati per il figlio Alberto. Nel 1948, insieme a Gillo Dorfles, Gianni Monnet, Galliano Mazzon e Atanasio Soldati, fondò il Movimento Arte Concreta. Negli anni cinquanta le sue ricerche visive lo portano a creare i negativi-positivi, quadri astratti con i quali l'autore lascia libero lo spettatore di scegliere la forma in primo piano da quella di sfondo. 

Libro illeggibile  MN1

Nel 1951 presenta le macchine aritmiche in cui il movimento ripetitivo della macchina viene spezzato dalla casualità mediante interventi umoristici. Sempre degli anni 50 sono i libri illeggibili in cui il racconto è puramente visivo. Nel 1954 utilizzando le lenti Polaroid costruisce oggetti d'arte cinetica noti come Polariscopi grazie ai quali è possibile utilizzare il fenomeno della scomposizione della luce a fini estetici. 

Nel 1955 crea il museo immaginario delle isole Eolie dove nascono le ricostruzioni teoriche di oggetti immaginari, composizioni astratte al limite tra antropologia, humour e fantasia. Nel 1958 modellando i rebbi delle forchette crea un linguaggio di segni per mezzo di forchette parlanti e,nello stesso anno, presenta le sculture da viaggio che sono una rivisitazione rivoluzionaria del concetto di scultura, non più monumentale ma da viaggio, a disposizione dei nuovi nomadi del mondo globalizzato di oggi. Nel 1959 crea i fossili del 2000 che con vena umoristica fanno riflettere sull'obsolescenza della tecnlogia moderna. 

Le forchette di Munari

La sua fama comincia a diffondersi anche all'estero: negli anni Cinquanta espone in Europa e negli USA, e inizia i viaggi in Giappone, che diverranno frequenti a riprova delle affinità che lo legano a quella cultura, imperniata su una filosofia che cerca il giusto equilibrio tra rispetto dei valori umani e produzione. Nel 1962 organizza presso il negozio 0livetti di Milano una celebre mostra di Arte Programmata. Nel 1967 è invitato dalla Harvard University a tenere un corso di comunicazione visiva presso il Carpenter Center for the Visual Arts di Cambridge, nel Massachusetts, e da quelle lezioni nasce il libro "Design e Comunicazione visiva", che si affiancherà a una serie di volumi in cui l'autore espone le proprie idee sul design. Pur continuando l'attività artistica, quella di grafico editoriale per Einaudi e quella di designer; si dedica con sempre maggiore attenzione al mondo dell'infanzia. Pensando ad oggetti che lascino un particolare spazio alla fantasia infantile progetta l'Abitacolo per la Robots, una struttura abitabile trasformabile (Compasso d'Oro 1979), dalla quale deriva una lunga schiera di oggetti d'arredo dalle caratteristiche simili oltre a numerosi Giochi, libri e collane di libri per insegnanti e per bambini anche in età prescolare (i celebri Prelibri della Danese).
Due dei dieci libri
pubblicato
da Munari,nel 1945
Polariscopio
Munari sapeva vedere e far vedere - cose o situazioni - e ciò gli consentiva di modificarne o reinventarne la funzione d'uso, fosse essa di natura puramente estetica, principalmente comunicativa o meramente pratica. Per lui non esisteva soluzione di continuità tra forma, comunicazione e funzione poiché, essendo ogni azione finalizzata alla medesima ricerca, ogni aspetto si poneva come complementare e strettamente interconnesso all'altro. Perciò un oggetto d'arredo, anche un umile posacenere, doveva essere in grado di migliorare la qualità della vita tanto dal punto di vista funzionale quanto da quello esteriore (raccogliere bene la cenere, essere piacevole a vedersi sul tavolo, comunicare un senso di modernità, ordine e pulizia).E, contemporaneamente, una scultura doveva avere una forte pregnanza simbolica - tale da poter essere esposta nel museo o monumentalrnente installata nella città - ma anche un'agilità clandestina, per consentire a chiunque di possederla, mettersela in tasca e portarla con sé, nella speranza di far uscire dall'anonimato persino gli ambienti più modesti. Perciò le forchette potevano parlare il linguaggio universale dei gesti senza divenire sfrontate, e l'aria diventava una macchina da far funzionare gettando ritagli di carta da una torre.
Sculture da viaggio,1965
Con l'animo giocoso ed entusiasta del futurista, l'attenzione analitica dell'artista concettuale, la metodica del progettista, la pulizia ed il rigore esecutivo del designer, la generosità dell'educatore, la curiosità dello scienziato, Munari ha in seguito intrecciato il suo cammino a quello di numerosi movimenti di ricerca.

In Munari, grande vecchio e un po' Peter Pan,la giovinezza e la fanciullezza (che a più di ottant'anni si divertiva, stupito,a guardare le ventose di una mosca arrampicata sulla finestra) sono state una fiammella mai spenta. Da un lato, quell'essere serenamente e saldamente un po' fanciullo doveva far parte di lui fin dall'inizio. Dall'altro, l'infanzia è stata anche una scoperta: un'esplorazione compiuta nell'età adulta (intorno agli anni Cinquanta)forse legata all'esperienza della paternità, o al desiderio di non porre mai limiti convenzionali al suo rapporto con la collettività. Di fatto, la sua passione per il mondo dell'infanzia - nutrita di curiosità, di delicatezza, di rispetto, di numerose iniziative, di metodi d'approccio che hanno rovesciato le consuetudini - traccia una storia dentro la sua storia. 

Con i giochi e libri per bambini - il Gatto Meo in gommapiuma, i Prelibri di Danese, i Libri illeggibili di fogli variopinti e senza testo, i libri con i buchi, le pagine trasparenti, tattili, componibili, le fiabe riscritte visivamente, i libri oggetto, l'Alfabetiere, il letto Abitacolo e le molte altre invenzioni che hanno letteralmente fatto scuola - Munari è entrato nelle camerette e nelle aule di molti paesi del mondo. Partendo dalla consapevolezza che la sperimentazione diretta facilita la comprensione e la trasmissione delle conoscenze, l'artista ha messo a disposizione la propria capacità di scegliere e fornire materiali e suggestioni visive, perché il bambino potesse egli stesso agire, liberando la propria curiosità in un gioco solo minimamente guidato, suggerito soprattutto attraverso le immagini e le dimostrazioni pratiche. Con la sua straordinaria capacità di guardare, ha trovato la strada per prestare gli occhi, per trovare gli occhi degli altri e per portarli ovunque egli volesse. Persino a vedere l'assenza, che è una delle imprese più difficili, nell'arte. 
Munari cerca e trova! 
I suoi strani mestieri si possono spiegare e identificare solo col suo nome. Munari è un’eccezione. Munari significa, per esempio, costruire macchine inutili che, in altri termini, sono oggetti assai più utili (ma soltanto allo spirito). I bambini capiscono cosa voglia dire Munari e perciò Bruno si rivolge sovente a loro. Pertanto, ognuno può restare poeta con l’aiuto di quest’uomo intelligente e buono. Egli non vi insinua evasioni, ma anzi vi pone di fronte a concrete realtà che, senza la sua cortese insistenza per farvele notare, vi sfuggirebbero.






Link di riferimento:

http://www.fondazioneferrero.it/EVE/MUNARI/munari.htm

http://it.wikipedia.org/wiki/Bruno_Munari

http://www.munart.org/index.php?p=22

http://www.colossiarte.it/v3/index.php?option=com_content&view=article&id=47:bruno-munari&catid=3

E.M., GRUPPO T 
“Non ero il solo a muovermi in quella direzione. Nel 1959 nasce a Milano il Gruppo T, composto da cinque studenti dell’Accademia di Brera (Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gabriele De Vecchi, Gianni Colombo, Grazia Varisco), di una decina d’anni più giovani di me, che affrontavano le tematiche dell’Arte programmata.”   
 Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011, 1° ediz., pg. 43
Il Gruppo T è un laboratorio artistico che nasce nel 1959 a Milano, rimanendo attivo fino alla fine degli anni Settanta circa, che si sviluppa attraverso un precoce e fecondo avvicinamento alle poetiche dell’Informale e del Polimaterialismo. Il Gruppo T è composto da Boriani Davide, De Vecchi Gabriele, Anceschi Giovanni, Colombo Gianni e Varisco Grazia.
Il gruppo T si propone in un periodo significativo per l’arte internazionale, presentandosi in concomitanza alla nascita di gruppi con intenti artistici analoghi, come ad esempio il Gruppo Zero di Dusseldorf, Gruppo N, Grav o Groupe de Recherche d’art visual e Equipe 75 con i quali condivide l’aspetto di rottura verso le forma artistiche tradizionali e la ricerca di una nuova forma d’arte altamente innovativa e radicale. Il Gruppo T fu particolarmente critico e severo verso il concetto di espressività oggettiva, che connota e riassume l’atteggiamento conservatorista dell’arte tradizionale, che rinnega attraverso un’indagine della variabilità percettiva dell’oggetto nel fruitore. L’intento del gruppo, espresso attraverso una vasta sperimentazione, è di sdoganare l’arte proponendo un nuovo rapporto tra opera ed osservatore, che trascenda i limiti e le direttive imposte dalle tecniche tradizionali, per guidare, orientare e coinvolgere completamente il fruitore dell’opera verso un’esperienza soggettiva multisensoriale. La produzione artistica del gruppo fu quindi condotta attraverso la ricerca di nuove modalità espressive e tecniche di coinvolgimento dello spettatore. E’ possibile identificare due differenti percorsi della sperimentazione artistica: una fase iniziale, contrassegnata dall’ideazione di pioneristici lavori cinetici e programmati, ed una successiva fase, che ha inzio dal 1964 circa, attraverso la riproduzione di ambienti immersivi ed interattivi. 
Davide Boriani e Gabriele De Vecchi –
Camera distorta abitabile,1970
La caratteristica dei lavori del Gruppo T non è solo la trasposizione del lavoro dal piano dell'oggetto al piano dell'ambiente, ma è principalmente l'interazione: il rapporto di continuità che essi creano con l'osservatore, che può fisicamente vivere le opere proprio come degli ambienti della vita reale, e senza il quale l'opera di fatto non esiste. Sono l'intervento o l'ingresso del visitatore che danno una ragione al lavoro artistico, ed è in questo senso che ci troviamo di fronte ad uno spostamento consapevole e compiuto dell'osservatore all'interno dell'opera, come fattore determinante. Oltre a questo c'è un'intenzione di riproducibilità d ell'opera in senso ampio, che va oltre le possibilità offerte dalle tecnologie di ripresa e stampa, le quali offrono un'immagine o una testimonianza dell'opera. Gli ambienti del Gruppo T sono riproducibili nel senso che possono essere realizzati ex-novo: l'opera stessa può essere riprodotta e cioè rifatta. La novità vera negli ambienti del Gruppo T dunque non consistette nell'intervento su un spazio ambientale piuttosto che su un'opera in senso tradizionale: in Italia Lucio Fontana dai primi anni Cinquanta conduceva una sperimentazione sulle applicazioni ambientali dell'arte utilizzando il neon come per la IX Triennale di Milano (1951) o altri materiali. Gli artisti del Gruppo T riconoscono nei loro risultati la attuazione concreta dello spirito futurista di voler porre lo spettatore al centro dell'opera (Boriani) portandolo alle sue estreme conseguenze con opere che esistono solo in virtù della presenza o dell'intervento dello spettatore. Il gruppo di Anceschi, Boriani, Colombo, De Vecchi e Varisco, inoltre godette della vicinanza di Lucio Fontana che li incoraggiava verso la programmazione degli ambienti interattivi, intesi come una fase successiva dei concetti spaziali, e di quella di Bruno Munari, che fondò il movimento Arte Concreta nel 1948 e portò avanti una ricerca artistica fondata sulla flessibilità dell'opera e sull'intervento dello spettatore.

Grazia Varisco –Schema luminoso variabile,
1962,plexiglass,luce e motore
La prima manifestazione del gruppo T “Miriorama 1” si è svolta presso la galleria Pater di Milano nel gennaio del 1960, a pochi mesi dalla costituzione del gruppo da parte di quattro artisti, smaniosi di cambiamenti e desiderosi di sperimentare nuove tecnologie, insofferenti delle convenzioni e dei riti e miti dell’arte. Il manifesto del gruppo T “Miriorama 1”, dell’ottobre del 1959, pone le basi teoriche per la realizzazione di opere “in divenire”,a quattro dimensioni", in cui la componente temporale possa essere percepita attraverso la variazione continua, imprevedibile ed irreversibile dell'immagine. E poiché la variazione si realizza attraverso il movimento che modifica nel tempo la struttura spaziale dell'opera, nasce l'esigenza di una componente casuale che rompa la ciclicità del movimento meccanico. Da qui la possibilità di far intervenire lo spettatore sull'opera in tempi e modi imprevisti anche agli stessi autori. 
Nei quattro anni successivi si svolgono quattordici manifestazioni "Miriorama", l'ultima delle quali presso lo Studio F ad Ulm nel 1964. 
Dopo questi primi anni di grande fermento il gruppo T progressivamente modifica il proprio assetto, a partire dal 1964 alle ricerche e alle mostre collettive si affiancano ricerche e mostre personali. Nel 1968 il gruppo T firma per l'ultima volta un lavoro collettivo, ma anche se Colombo e Varisco prendono ufficialmente le distanze dal gruppo, prosegue secondo modalità diverse la collaborazione fra gli artisti e non è mai stato formalmente proclamato lo scioglimento del gruppo. Assume quindi un significato particolare questa esposizione "Miriorama 15" con la quale Anceschi, Boriani e Devecchi intendono comunicare che la loro collaborazione resiste nel tempo e il gruppo T si ripresenta condividendo ancora idee, convinzioni ed esperienze. 
Tra la fine degli anni '50 e gli anni '60 la storia artistica europea è contrassegnata dalla nascita di "gruppi" d'artisti che, pur nella loro breve vita e nelle fisiologiche differenze, coaguleranno attorno a leit motiv ricorrenti, spesso accompagnati dall'aspirazione ad un'"arte di tutti" e un'"arte per tutti". 
Giovanni Anceschi-
Struttura tricroma,1963
Ciò che accomuna l'attività del Gruppo T agli altri gruppi italiani e internazionali è innanzitutto la ricerca di un procedimento artistico rigoroso ed analitico da contrapporre alle tendenze dominanti dell'epoca: dall'espressionismo astratto all'arte informale. Si cerca di ottenere un'oggettivizzazione della percezione estetica - in antitesi al soggettivismo imperante - e per raggiungerla ci si avvicina al mondo della scienza e della tecnica. E' il rapporto arte e scienza che si fa garante della "misurabilità" dell'esperienza estetica, passando attraverso il controllo dei meccanismi della percezione. L'attività artistica viene concepita più come sperimentazione scientifica che come attività di creazione individuale. 
Questa sperimentazione porta alla ricerca di un linguaggio semplice e codificato. Si usano figure geometriche neutre (quadrati, cerchi, rettangoli, …), ordinate attraverso rapporti non arbitrari ma anonimi (relazioni algebriche, topologiche, fisiche, …), con lo scopo di ottenere una superficie, un oggetto o un ambiente "attivo" in grado di stabilire immediatamente una connessione visiva, tattile, polisensoriale con lo spettatore. Ed è a questo punto che interviene la componente casuale ed imprevedibile determinata dall'azione dello spettatore. 
L'artista prende distanza dall'opera, nega la propria "soggettività autorevole ed ispirata", per programmare un dispositivo in grado di catturare lo spettatore e intraprendere con lui un processo interattivo. L'opera non è più un oggetto definito, chiuso, compiuto, ma un processo aperto, dinamico, avviato da un operatore estetico, che ne ha predeterminato le condizioni di partenza e quindi le possibilità di esistenza, e che per realizzarsi necessita della presenza attiva di un fruitore. 
Nel nuovo processo artistico è quindi insito il concetto di interattività. E' solo la presenza del fruitore che permette la piena esistenza dell'opera, è la sua azione, visiva motoria o cognitiva, che rende attivo il programma iniziale attualizzando alcune delle sue possibili configurazioni. 
E' necessaria quindi l'azione reciproca dell'operatore iniziale, dell'opera-dispositivo e del fruitore per dar vita al processo artistico. 
E in un agire che non produce più oggetti ma attiva processi è implicito il concetto di movimento. 
Non è più solo lo spazio ad essere indagato, ma il tempo acquista un significato fondamentale e con esso l'opera assume una dimensione dinamica.

Dichiarazione fondativa del gruppo T 



Dichiarazione stilata nell'ottobre del 1959 e utilizzata per la prima mostra 'Miriorama 1' in cui erano presenti oltre alle opere del Gruppo un pezzo di: Bruno Munari, Lucio Fontana, Piero Manzoni, Enrico Baj, e Jan Tinguely. 

Approfindimento 

Ogni aspetto della realtà, colore, forma, luce, spazi geometrici e tempo astronomico, è l’aspetto diverso del darsi dello SPAZIO_TEMPO o meglio: modi diversi di percepire il relazionarsi tra SPAZIO e TEMPO.
Consideriamo quindi la realtà come continuo divenire di fenomeni che noi percepiamo nella variazione.
Da quando una realtà intesa in questi termini ha preso il posto, nella coscienza dell’uomo ( o solamente nella sua intuizione) di una realtà fissa e immutabile, noi ravvisiamo nelle arti una tendenza ad esprimere la realtà nei suoi termini di divenire.
Quindi considerando l’opera come una realtà fatta con gli stessi elementi che costituiscono quella realtà che ci circonda è necessario che l’opera stessa sia in continua variazione.
Con questo noi non rifiutiamo la validità di mezzi quale colore, forma , luce, ecc. ma li ridimensioniamo immettendoli nell’opera nella situazione vera in cui li riconosciamo nella realtà, cioè in continua variazione che è l’effetto del loro relazionarsi reciproco. 
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